Il test del DNA fetale su sangue materno consiste in un semplice prelievo di sangue materno da cui si può analizzare il DNA del feto per valutare la presenza di specifiche anomalie cromosomiche (aneuploidie) senza ricorrere ad indagini invasive.
Durante la gravidanza, frammenti di DNA fetale sono presenti nel sangue materno già dalla 5a settimana di gestazione e la loro concentrazione aumenta progressivamente fino a scomparire col parto.
Per prime furono quattro società californiane e in seguito una cinese a commercializzare il test del DNA fetale su sangue materno.
Sono molti i lavori internazionali favorevoli all’utilizzo del DNA fetale e diverse società scientifiche internazionali si sono espresse favorevolmente al riguardo (American College of Ostetrician and Ginecologists, International Society for Prenatal Diagnosis, National Society of Genetic Councelors, Fetal Medicine Foundactionx). Inizialmente la lettura di cellule fetali risultò complessa: bisognava coltivarle, estrarle e spesso non erano integre. Fu un professore cinese di Hong Kong, Dannis Lo, a scoprire la presenza di filamenti di DNA liberi circolanti nel sangue materno e costituiti da un mix di materiale fetale e materno. Questi frammenti venivano fatti moltiplicare e successivamente isolati; alla nona/decima settimana la quantità è tale da garantire una elevata specificità e sensibilità dei test utilizzati. Pertanto già da queste settimane la futura mamma può sottoporsi ad un semplice prelievo di sangue (8 cc): il DNA fetale, isolato dalla componente plasmatica del sangue materno, viene analizzato per evidenziare specifiche aneuploidie, cioè variazioni del numero di cromosomi che possono essere in numero minore (monosomia) o maggiore (trisomia) rispetto alla norma.
Le alterazioni cromosomiche analizzabili riguardano la trisomia 21, 18, 13, 16 e quelle legate ai cromosomi sessuali:
Il test del DNA fetale su sangue materno può essere eseguito utilizzando tre metodi di analisi:
Se la coppia ne fa richiesta il test valutano, come ulteriore approfondimento diagnostico di secondo livello, alcune sindromi da microdelezioni, che consistono nella mancanza di piccole quantità di informazioni in un cromosoma.
Si tratta di patologie più frequenti di quanto si riteneva possano comparire in gravidanza senza che si rilevino anomalie ecografiche.
Le microdelezioni rilevabili sono le sindromi di:
Tutte comportano disturbi intellettuali, più o meno severi, e spesso comportamentali.
L’esame, che richiede tempi di refertazione nell’ordine di 5/6 giorni, è eseguibile sia per gravidanze singole che gemellari. In questo caso non si possono valutare le anomalie dei cromosomi sessuali, ma solo quelle dei cromosomi 21, 18 e 13 in quanto nel caso di positività non si può sapere se uno o entrambi i feti sono portatori di aneuploidia.
La specificità (capacità di escludere chi non ha sviluppato aneuploidie, espressa in percentuale) del test è > del 99%.
La sensibilità (capacità di identificare una aneuploidia espressa in percentuale) varia dal 96,5 al 99%.
La percentuale di falsi positivi è estremamente bassa e il dato può sempre essere confermato dalla villocentesi o amniocentesi che i vari laboratori offrono gratuitamente, in questi casi, unitamente alla consulenza genetica.
Il test del DNA fetale su sangue materno costituisce una novità assoluta nell’ambito diagnostico tale da poter modificare le strategie della diagnosi prenatale. È un’analisi diretta del DNA fetale che valuta, come rilevato, le aneuploidie dei cromosomi 21,13,18 di quelle legate ai cromosomi sessuali ed eventualmente della 9 o 16 oltre a cinque microdelezioni.
Pertanto non valuta tutte le anomalie cromosomiche, diversamente dalla villocentesi o amniocentesi, né alterazioni parziali o strutturali o quadri di mosaici, ma rileva circa il 90% 95% delle aneuploidie. Si tratta di un test di screening: un risultato negativo riduce sensibilmente la possibilità che il feto abbia una alterazione cromosomica pur non azzerandola.
Al contrario, i test di screening del primo o secondo trimestre sono test statistici indiretti che si basano sull’età materna, la misurazione di parametri fetali ecografici e indagini biochimiche su sangue materno (test combinato): la percentuale di falsi positivi è del 5% e non rilevano tra il 5% o 15% di trisomia 21 (falsi negativi).
Rispetto ad indagini più invasive quali villocentesi e amniocentesi, che hanno una percentuale di aborto dell'1% circa, il test del DNA fetale su sangue materno non comporta alcun rischio.
In Italia la percentuale di amniocentesi è il 18% delle gravidanze ed essendoci un rischio di aborto del 1% si finisce per perdere un numero elevato di feti sani.
Per maggiori informazioni sulle altre tipologie e tecniche di Diagnosi Prenatale
visita il sito www.centro-medico-diamed.it